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    UNSIC: L’Argentina di Milei - UNSIC

    Javier Milei è da poco più di un anno presidente dell’Argentina, Paese particolarmente vicino al nostro in quanto circa la metà della popolazione ha sangue italiano (lo stesso Milei ha nonni calabresi di Rossano).

    Gli esiti delle sue rigide politiche ultra-liberiste, con una rilevante entità di interventi di politica economica e legislativa, principalmente per eliminare o semplificare norme (c’è chi ha calcolato medie di quasi due al giorno) e la riduzione del ruolo e della presenza di uno Stato a lungo interventista ed eccessivamente assistenzialista, sono sotto la lente di molti economisti e ricevono giudizi contrastanti: agli indiscutibili risultati positivi in ambito macroeconomico, a cominciare dal crollo dell’inflazione, dalla riduzione dell’aumento dei prezzi al dettaglio (dal 12,8 al 2,4% al mese) e dal miglioramento dei conti pubblici, fanno da contraltare i costi sociali, con una povertà sempre più estesa e servizi depotenziati a causa di tagli drastici.

    La ricetta di Milei, ispirata principalmente alle teorie liberiste del premio Nobel Milton Friedman, mira agli effetti di riforme, privatizzazioni e liberalizzazioni per stimolare mercato e investimenti e quindi, di conseguenza, per favorire la ripresa dell’attività economica con ricadute positive per gran parte dei cittadini. A suo favore ci sono anche gli Stati Uniti di Trump, oltre ad almeno metà degli argentini. Ma i risultati, se ci saranno, non potranno essere immediati.

    Di certo, secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale, il Pil potrebbe passare da negativo a positivo già quest’anno: dalla contrazione del 3,5% nel 2024, l’Argentina potrebbe registrare un più 5% nel 2025, percentuale da colosso cinese. E ciò non è poco per un Paese che da oltre vent’anni è preda di spaventose crisi economiche e di un’inflazione costantemente a tre cifre, con tassi di povertà altissimi da decenni. Per anni l’unica soluzione è stata quella di stampare moneta e aumentare il debito pubblico. Fino ai ciclici collassi.

    L’intervento è, però, drastico. Dal 10 dicembre 2023, giorno del suo giuramento come presidente, Milei ha chiuso 13 ministeri (tra cui quello “delle Donne”) e li ha “sfoltiti” di circa 30mila dipendenti. Ha congelato i lavori pubblici e tagliato fondi all’istruzione, alla sanità, alla ricerca scientifica, alle pensioni, al welfare in generale. Sono spariti i sostegni per le mense popolari. Anche gli atenei ricevono meno soldi. L’idea è quella che in questi settori si sviluppi il mercato, in particolare per la salute, l’educazione, la cultura, la tecnologia.

    Aver rivitalizzato l’iniziativa privata e l’economia ha però prodotto un boom della povertà: secondo l’Indec, l’Istituto di statistica nazionale, il tasso di povertà in Argentina è aumentato di quasi 12 punti percentuali nel primo semestre di presidenza rispetto al semestre precedente. Oggi, però, sta scendendo ed è tornato ai livelli precedenti all’insediamento dell’attuale presidente. Tuttavia i consumi sono scesi l’anno scorso del 13,9%.

    Pur mantenendo alcuni sussidi, come l’Assegno universale per l’infanzia e l’Assegno alimentare, Milei s’è scagliato contro gli organismi del terzo settore, accusandoli di aver creato un redditizio “sistema di schiavitù moderna”.

    Nei giorni scorsi, ad aver accentuato i problemi c’è stata anche un’alluvione che ha sconvolto la città di Bahía Blanca nella provincia di Buenos Aires, a ridosso dell’Oceano Atlantico. Numerosi i morti e i dispersi, oltre un migliaio gli sfollati, evacuato un ospedale. Il presidente Milei è stato costretto a sospendere le visite che aveva previsto di effettuare in Spagna e in Cile. Una situazione difficile a cui si sommano i crescenti episodi di violenza durante manifestazioni di protesta, come quelli avvenuti nei pressi del Congresso nazionale durante la rituale marcia del mercoledì dei pensionati (il 63% percepisce il minino, cioè poco più di 250 dollari al mese) con infiltrazioni di gruppi dell’estrema sinistra che cavalcano il malcontento sociale serpeggiante.

    L’Argentina resta sostanzialmente divisa tra chi applaude questa svolta, dopo decenni di immobilismo, e chi patisce i rilevanti tagli.

    Domenico Mamone

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