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    UNSIC: Il “sogno” di Benigni - UNSIC

    Roberto Benigni (foto Quirinale.it)

    Può piacere o non piacere. Risultare simpatico o antipatico. Condividerne o meno le idee. Approvarne o meno le irruzioni nel giudizio politico. Ma di certo gli spettacoli di Roberto Benigni in tv rappresentano sempre show-evento di alto livello. Dal racconto di Dante a quello della Costituzione, fino ai Dieci Comandamenti di dieci anni fa. Una rarità nella complessiva offerta televisiva, decisamente scadente. Tanto è vero che le “irruzioni” del premio Oscar nel piccolo schermo sono tra le poche a non essere interrotte dalla pubblicità, per rispetto, e ad andare in eurovisione.

    Lo spettacolo “Il Sogno”, dedicato all’Europa e in particolare all’Unione europea, sembra sia stato confezionato apposta per questi giorni, specie dopo l’uscita della premier sul manifesto di Ventotene. Tempestività eclatante. In realtà è un progetto di circa un anno fa. Forse per questo ha acquisito oggi ancora più potenza, visto anche lo spazio che sta conquistando sui giornali.

    Ottimi ascolti, ma pubblico diviso nei giudizi: dall’esaltazione alle accuse di eccesso di didascalia, dall’elogio incondizionato alla mancanza di comicità.

    Cosa ha detto Benigni nelle oltre due ore di show?

    Un po’ come aveva fatto con l’Italia, ha innanzitutto esaltato il vecchio continente, “il più piccolo del mondo”, ma che “ha acceso la miccia di tutte le rivoluzioni, ha trasformato il pianeta, da tremila anni è la fucina dove sono stati forgiati alcuni fra i più grandi pensieri dell’umanità, inventando la logica, la ragione, il dubbio, la libertà, la democrazia, il teatro, lo sport, la chimica moderna, la coscienza di classe, spaccando l’atomo, dipingendo la Sistina. Un patrimonio comune, un tesoro immenso in tutti i campi”. Ma anche il rovescio della medaglia: “Gareggiavamo non solo per le cose belle, ma gareggiavamo anche per le cose più brutte, la guerra. A scuola solo guerre si studiavano, cento anni di guerra, nessuno si ricordava più perché era cominciata. Abbiamo passato secoli ad aggredire anche il resto del mondo. Cento milioni di persone sono morte”.

    Tutto condivisibile, inappuntabile, così come il richiamo alle parole di Papa Francesco nella sua lettera al Corriere della Sera: “Bisogna disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra”.

    Più divisivo – e politico – il discorso sulla differenza tra patriottismo – in cui si riconosce – e nazionalismo, che esecra in quanto “è stato il carburante di tutte le guerre, ha provocato milioni di morti: non è una ideologia politica, è una fede”.

    Poi una sorta di lezione di storia, indubbiamente coinvolgente perché narrata “come una fiaba”. A ruota libera, partendo proprio dal Manifesto di Ventotene del 1941. “La pagina più commovente ed entusiasmante è qui in Italia, in una piccola isola del Tirreno che si chiama Ventotene. Nel 1941 succede una cosa incredibile, qualcuno ha un’idea, di cambiare tutto, l’idea dell’unità europea. E non era facile, intorno era tutto rovine e morti. Tre uomini Eugenio Colorni, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli pensarono al nostro futuro, con un documento che era un sogno e anche di una concretezza e profondità straordinaria – ha spiegato Benigni.

    Tutto nasce dai libri che i tre ricevono dall’economista liberale Luigi Einaudi. C’è la storia degli Stati Uniti d’America, tredici repubbliche che diventano uno Stato, con una propria moneta, con un proprio esercito, garantendosi 250 anni di pace interna.

    Quindi il racconto del primo esperimento commerciale tra Francia e Germania nel 1950, la Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Poi la Cee del 1956, le prime sei nazioni che realizzano il mercato comune, Italia compresa, che assicura benessere. E Benigni cita la celebre scena di Non ci resta che piangere: “Immaginate se ci fossero di nuovo le dogane tra Lazio e Toscana: chi siete? Cosa portate? Quanti siete? Un fiorino!”.

    Ancora, l’omaggio a Sofia Corradi, presente in sala, la quale nel 1987 ha inventato l’Erasmus. E poi l’euro e la Carta dei diritti fondamentali, il documento più avanzato al mondo in materia di diritti umani, che bandisce la pena di morte.

    La chiusura della serata speciale, ricca di citazioni internazionali, è proprio incentrata sul “sogno”, guarnito di una buona dose di politica da “europeista estremista”, come si autodefinisce il comico toscano (più poteri al parlamento europeo, difesa e politica estera comune, abolizione dell’unanimità nelle decisioni e del diritto di veto), ma anche di utopia. “Il sogno della pace universale è fattibile? Quasi tutti mi risponderebbero di no. Io vi dico che non solo è raggiungibile ma inevitabile. La guerra finirà per sempre, non c’è alternativa, non può che finire così. E siamo noi europei che dobbiamo dire agli altri: siete fratelli”.

    E si rivolge ai giovani, forse scivolando un po’ nella retorica: “Siete la generazione più istruita della storia, ci sono più diplomati e laureati in Europa di quanti se ne siano mai visti. Con questa forza che avete potete fare tutto”.

    Benigni afferma che l’Unione europea sia “la più grande istituzione degli ultimi 5.000 anni realizzata sul pianeta terra dall’essere umano”. Indubbiamente l’ideale è nobile, ha garantito 80 anni di pace, ha assicurato un benessere di massima ai 500 milioni di cittadini. Resta un indubbio problema di iperburocrazia e di immobilismo, di peso eccessivo della finanza, dell’influenza delle lobbies. E sugli 800 miliardi per il riarmo, che ci appaiono soprattutto un regalo per l’economia tedesca ora svincolata dai limiti alla spesa, il dibattito resta aperto, come abbiamo già scritto.

    Domenico Mamone

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