Da veri pacifisti occorre dire comunque no alle armi perché a furia di armarsi e riarmarsi si rischia davvero di arrivare allo scontro nucleare? Oppure bisogna sposare la logica della Von der Leyen, secondo cui per garantirsi la pace è necessario preparare la guerra, cioè armarsi con gli 800 miliardi di euro a debito, quale deterrente verso chi volesse attaccare l’Europa? O ancora, è davvero utile auspicare un esercito comune europeo, come vuole la sinistra, non individuando però né chi possa guidarlo (la muscolosa Germania?) né quale lingua comune utilizzare?
Assumere una posizione netta rispetto al tema del giorno non è facile. Ogni opzione presenta diversi pro e contro. Se è vero che proprio la mancanza di contrasto ad Hitler negli anni Trenta ha contribuito allo scoppio della seconda guerra mondiale, è altrettanto vero che un esercito, quello americano nello specifico, non ha avuto scrupoli a sganciare due bombe atomiche in Giappone. E sarebbe davvero stupefacente se grazie unicamente a colloqui internazionali, i promotori del male diventassero di colpo dei missionari.
Si parla tanto di Europa e di europeismo, anche nelle piazze, ma anche in questo caso le differenti posizioni mostrano il fianco a critiche. Ad esempio, cosa c’entra questa Europa delle armi con quella “comunità di diritto” richiamata a piazza del Popolo, sognata negli anni Cinquanta dai Padri fondatori e regolata dai Trattati, da Roma a Lisbona, incentrati però non sulle armi, ma sulla pace, sul commercio, sul mercato unico e sul benessere economico?
Ancora: quale Unione europea dobbiamo auspicare? Non certo quella a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi, spesso preda di lobbies e burocrazie, di scandali e malaffare, di lacci e lacciuoli per le industrie anche con politiche sbagliate, come quella del Green Deal. Se il nostro continente si trova in questa condizione di inconsistenza e di subordinazione, non sarà anche responsabilità di chi l’ha governato finora?
Domenico Mamone