L’incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump alla Casa Bianca può prestarsi a diverse letture, non scevre – a seconda delle parti – da qualche radicato pregiudizio o da eccessiva esaltazione.
Di certo affrontare uno spregiudicato imprenditore come il presidente statunitense non è mai facile. Ne sanno qualcosa, oltre a Zelensky, diversi rappresentanti europei snobbati dal tycoon e il premier irlandese Micheál Martin, a cui Trump ha rinfacciato la presenza nella sua nazione delle aziende farmaceutiche americane, nonché il solito panegirico su quanto lui sta facendo per gli americani, mentre l’Unione europea sarebbe stata creata solo per attaccare gli Stati Uniti.
Visti i precedenti, il clima fiducioso tra Trump e la leader italiana non può che essere accolto come una buona notizia.
Se è ormai manifesta la strategia del disinvolto businessman statunitense, che pretende chiassosamente 100 per ottenere 50, l’apertura di un tavolo europeo a Roma – confermato dagli americani – costituisce certamente un successo per la premier italiana, che ha anche ricevuto continue lodi da Trump, che l’ha definita “una donna eccezionale che sta facendo un ottimo lavoro” e “una delle più grandi leader mondiali”, aggiungendo che “l’Italia è il miglior alleato degli Usa finché c’è Giorgia premier”, in virtù anche dell’appartenenza alla stessa famiglia politica, alla comunanza di alcune questioni (immigrazione e cultura “woke” in primis) e del peso che la comunità italiana riveste nella società americana.
In sostanza, dall’incontro escono impegni italiani su armi (il raggiungimento del 2 per cento del Pil per le spese militari al prossimo vertice Nato, “adeguamento” già preconizzato da Matteo Renzi quando era premier e confermato dal successore Giuseppe Conte), gas (il partner statunitense beneficia della situazione in Russia) e investimenti. Da parte di Trump c’è la garanzia a negoziare sui dazi a Roma, ma anche la conferma di un canale privilegiato di relazioni con il nostro Paese, in fondo in linea con una lunghissima tradizione.
“Non posso siglare accordi per l’Unione europea, ma sono qui per cercare di trovare il giusto punto di equilibrio a metà strada – ha detto il nostro Primo Ministro, che ha avuto il merito di promuovere il “made in Italy”, sottolineando anche che il nostro è un Paese stabile. La Meloni ha tenuto anche il punto, ricordando che la guerra in Ucraina nasce da un’invasione. E, grazie al nuovo clima, di fatto ha indotto il presidente Usa a negare la paternità della frase “europei parassiti”. I due hanno anche parlato di energia e di economia dello spazio.
Certo, chi si aspettava – anche un po’ ingenuamente – che il presidente Usa potesse concedere qualche beneficio sui dazi è stato smentito. Ma la promessa meloniana che insieme “faranno di nuovo grande l’Occidente”, puntando quindi su un patrimonio valoriale, riavvicina gli Stati Uniti all’Europa e all’Italia nel momento di massima frizione tra i due continenti. Occorre solo capire se ci si può fidare.
Domenico Mamone